La cittadinanza onoraria è una antica onorificenza, in vigore tutt’oggi, concessa a chi, attraverso le sue attività, dimostra un forte legame con la cittá. Fra i primi a beneficiarne nella storia Philostratos di Ankalon, un banchiere proveniente dalla Filistea, nel 97 a.C. L’avrà certamente meritata, e comunque sarebbe difficile accertarsene. "Ma scorrendo l’elenco dei cittadini onorari napoletani", scrive l'edizione odierna del Corriere del Mezzogiorno con un articolo a firma di Francesco Di Stasio, "qualche perplessità sovviene: Ciampi, Scalfaro, Abu Mazen. E Benito Mussolini, Gino Paoli, Gockan Inler, uno svizzero-turco napoletano. Su tre invece sono d’accordissimo, Bruno Pesaola, il mitico Petisso, Renzo Arbore e Diego Armando Maradona. Questi personaggi non hanno solo dato lustro alla città, ma hanno dimostrato appartenenza, hanno espresso «napoletanità». Maradona ha fatto anche di più, in una osmosi nazionalistica ci ha reso argentini. Quanti napoletani hanno tifato contro l’Italia in quella famosa partita di Italia ‘90? Tanti. Ma non è stato un tifo contro la nazionale, se mio fratello indossa una maglia, io tifo per quella. Era affetto verso Maradona. Diego, uno di noi.
Ma cos’è la napoletanità? Napoli è la città delle contraddizioni, miseria e nobiltà. Poetica e barbara, accogliente e sfruttante, coltissima ed ignorante. Ma poteva non essere così in una città di mare il cui simbolo è una montagna? Siamo tutti figli del Vesuvio. Non è facile trovare un minimo comune denominatore che unisca le tante diversità. Se dovessi dare una definizione in una parola, direi la napoletanità è adattabilità. Tanti secoli di travagli, invasioni, dominazioni, guerre, hanno fatto si che il fenotipo abbia avuto una grossa influenza sul genotipo, si dice che il napoletano si fa secco ma non muore, nonostante il terremoto, il colera, i governanti. A volte capita che la napoletanità, quella buona ovviamente, la si trova anche in un brasiliano, in un argentino o in un nativo di Reggiolo. Carlo Ancelotti è adattabile, simpatico, un po’ scugnizzo, elegante nella città dei sarti di lusso, dove la giacca deve avere la spalla morbida che si adatta, altrimenti non è la spalla napoletana, questa benedetta adattabilità. Niente a che vedere con la tuta.
Ancelotti è il più napoletano fra gli allenatori Aureliani, Sarri e Mazzarri, fanno anche rima, bravissimi allenatori, ma nelle interviste sembrano personaggi di Pieraccioni. Il rubicondo Benitez è chiaramente non italiano, il presidente è più pariolino che posillipino. Carlo inventa, spariglia, la partita con il Liverpool un capolavoro da conservare a Capodimonte. La città lo sente, comunica con lui, si sente finalmente rappresentata. Lorenzo è maturato, più tranquillo, si affida al concittadino Carletto, usano lo stesso linguaggio, quello dei napoletani geniali. Mai arroganza, non serve se sei forte.