Siamo e restiamo il Paese delle gride manzoniane: feroci, ferocissime e... inapplicate. In fondo è un pezzetto dell’eterno (e triste) copione italico quello andato in scena l’altra sera all’Olimpico di Roma, durante Lazio-Napoli. Per lunghi minuti, e a più riprese, circa 4 mila imbecilli che si definiscono tifosi laziali (non solo gli ultrà della Curva Nord, si badi, ma pure i facoltosi spettatori della tribuna Tevere e della Monte Mario, stando alla raggelante relazione del giudice Tosel) sommergono lo stopper napoletano Kalidou Koulibaly di «buu» razzisti e accompagnano le azioni della squadra di Sarri col consueto infame coretto: «Vesuvio lavali col fuoco!». Applicando il regolamento, l’arbitro Irrati prima chiede invano l’intervento dello speaker, poi sospende l’incontro per 3 minuti e mezzo. Si riprende, ma riprendono anche gli imbecilli, ogni tocco di Koulibaly è un inferno. Irrati, pronto a sospendere definitivamente la partita, attende l’ok del responsabile dell’ordine pubblico, ma l’uomo della Questura gli dice di andare avanti fino alla fine, si tappino le orecchie sensibili: motivi di prudenza, si capisce, hai visto mai che gli imbecilli si arrabbino. Non è la prima volta, anche se speriamo sempre sia l’ultima. Ora c’è da chiedersi cosa diavolo ci stia a fare una norma se — considerata troppo «temeraria» — viene puntualmente disattesa. Fatti i complimenti a Irrati, c’è da domandarsi poi quale arbitro, la prossima inevitabile volta, fermerà il gioco con la ragionevole certezza di essere a sua volta fermato da una distorta ragion di Stato. E infine c’è da chiedersi quando lo Stato farà sentire la sua mano su gentaglia che infiocchetta la propria bestialità con una bandiera calcistica. Se i Daspo servono fino a un certo punto, se squalifiche e multe servono meno, forse è il tempo di togliere il giochino di mano a costoro. E, almeno una volta, dir loro: ora basta, idioti, andate a casa.