ESCLUSIVA - Nocerino: "Juve? Aspettai il Napoli fino alla fine, parlai con De Laurentiis e Marino ma il sogno svanì. Zamparini mi ha deluso. Su Buffon e Nainggolan..."

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Originario del Pallonetto di Santa Lucia a Napoli. Comincia a giocare a calcio già a 5 anni nella scuola calcio del padre 'San Paolo'

Originario del Pallonetto di Santa Lucia a Napoli. Comincia a giocare a calcio già a 5 anni nella scuola calcio del padre 'San Paolo' dove viene visionato e portato nelle giovanili della Juventus. A lanciarlo è Zeman all'età di soli 18 anni in Serie B con l'Avellino. Cresce poi tra Genoa, Catanzaro, Crotone, Messina fino a consacrarsi a Piacenza e restare ad alti livelli con le maglie di Juventus, Palermo e Milan. Conclude con la piccola parentesi a Torino e il coas di Parma fino ad approdare in MLS all'Orlando. Stiamo parlando del classe 1985 Antonio Nocerino. L’ex Juventus è stato raggiunto in esclusiva dalla redazione di CalcioNapoli24.it in vista del big match scudetto.

Nasci a Napoli nell’epoca di Maradona e cominci a giocare a calcio a soli 5 anni, eri anche tu uno di quei ragazzini che sognavano di diventare calciatore giocando per strada sin da piccolo? Quanti sacrifici hai fatto?

“Io giocavo solo per strada! Ho giocato sulle ‘Montagnelle’ a piazza Plebiscito e sotto le colonne, a me veniva naturale. Sacrifici? Io ho sempre fatto ciò che amavo, più che io sono la mia famiglia che hanno fatto i sacrifici veri, soprattutto mio padre. Lui mi ha seguito e aiutato passo dopo passo,  non avendo la macchina noi prendevamo l’autobus e ci facevamo anche 2 ore con pioggia, vento e freddo”.

I ragazzi di oggi crescono con falsi miti e cercano spesso le vie più facili, si è un po’ persa questa voglia di rincorrere sogni?

“Purtroppo capita in tutte le città, si sono perse tante cose. I giovane, ad esempio, oggi non vogliono fare sacrifici e non vogliono sudarsi le cose, non hanno pazienza e non vogliono lavorare impegnandosi. Tutto questo è impossibile, in qualsiasi lavoro devi sempre dare il massimo, uno parte dal basso per arrivare in alto, solo chi ha una famiglia che ti fa partire dall’alto fatica di più ad arrivare a certi livelli. Per arrivare a certi livelli in qualsiasi ambito devi rimboccarti le maniche e lavorare duro ogni singolo giorno, è questo che cerco di insegnare ai miei figli. Oggi cercano tutti delle scorciatoie”.

La tua carriera inizia col botto: molto giovane passi già alle giovanili della Juventus, che mondo hai trovato?

“Sì, io ero alla scuola calcio di mio padre il “San Paolo” e direttamente passo alla Juventus. Andai via da Napoli lasciando la mia famiglia, gli amici e tutto per rincorrere questo sogno, è stava veramente dura (ride, ndr). Lì ho trovato un’altra organizzazione, alla Juve costruiscono prima la persona e poi il giocatore. Io andavo ancora a scuola e se non ci andavo non mi facevano giocare e allenare. Alla base di tutto uno si deve sempre ricordare che nella crescita devi essere prima uomo e poi giocatore. Devi crescere ricordandoti che hai dei valori e devi rispettare tutti, quando ho intrapreso la carriera nelle giovanili nessuno mi ha detto che sarei diventato un professionista. L’insegnamento più grande è stato quello umano, il calcio dipende da te e solo se vuoi davvero arrivare ad alti livelli  ci riesci, ma nessuno ti regala niente. Ho visto e conosciuto tanti ragazzi che sono arrivati in Primavera e guadagnavano già abbastanza bene e poi non hanno più giocato. Il difficile è rimanere a certi livelli e non arrivarci, se ti lasci andare non hai concluso nulla ma se ci resti dimostri davvero quanto sei maturo”.

A 18 anni assi poi all’Avelino di Zeman che punta tantissimo su di te…

“Sì. Partecipo ad un torneo che non avrei dovuto fare perché dovevo diplomarmi, ma riuscii ad organizzarmi e al torneo portai tutto e studiavo stesso da lì. In quel torneo mi vide Zeman e decise di portarmi subito all’Avellino, mi disse che sarei stato il giovane che lui voleva in quel ruolo di centrocampista. Feci subito 40 partite in un campionato di 48, per me fu una sorpresa perché io venivo dalla Beretti e non avevo mai fatto ancora la Primavera. Passai direttamente dalla Beretti alla Serie B con tantissime presenze. Mi diede fiducia e per me fu una grandissima cosa”.

Poi passi al Genoa e dopo 6 mesi concludi la stagione con il Catanzaro….

“Sì. Ero ancora molto giovane e mi ero già guadagnato la Serie B. Al Genoa c’era una squadra incredibile ma gli allenamenti soltanto non mi servivano perché dovevo migliorare giocando, avevo bisogno di sbagliare e fare le mie esperienze. Lì però è stato tutto bello, ho conosciuto tanti campioni e il Presidente aveva creduto in me. A gennaio decisi di andare a giocare e passai al Catanzaro, in quel momento ci tenevo tanto anche all’Under 21. Ero uno dei pochi che giocava tra i professionisti, in quel periodo tutti quelli della mia età facevano la Primavera. Avessi avuto ora 20 anni…(ride, ndr)”.

L’anno successivo ancora due squadre: sei mesi al Crotone e poi il salto in A con il Messina, dove trovi anche il tuo primo gol in A poi annullato per la partita persa a tavolino con l’Empoli…

“Al Crotone ho incontrato Gasperini e ho fatto bene, poi si è aperta questa possibilità di andare in Serie A. Io avendo la testa dura volevo provare quest’esperienza e provarci, volevo capire se ero pronto o no. Ho giocato più di dieci partite in A e si ho segnato anche un gol che poi mi venne annullato (ride, ndr). L’anno dopo c’era ancora la possibilità di restare in A con il Messina, ma io decisi di tornare in Serie B e passai al Piacenza. Rinunciai al prestigio della Serie A e del doppio stipendio, ma in quel momento avevo bisogno di altro. Non sono mai andato dietro ai soldi, io volevo giocare ed ero convinto che passare al Piacenza era fondamentale, alla fine ho avuto ragione. Lì è cambiata la mia vita calcistica, Iachini mi ha stravolto e cambiato ruolo aprendomi un mondo nuovo”.

In effetti Piacenza è stato un vero e proprio trampolino di lancio per te: 39 presenze e 6 gol messi a segno in una B molto agguerrita dove ci sono anche Juventus, Napoli e Genoa che precedono proprio voi. Alla fine poi anche la chiamata della Juve che ti vuole a tutti i costi…

“Sì, in quella Serie B c’erano squadroni come Juventus, Napoli, Genoa e Bologna. Io passai al Piacenza con una buona base, avevo quasi 100 presenze tra i professionisti a soli 20 anni. Per me è diventata molto più semplice la cosa e ho fatto un buon anno prima di tornare alla Juve”.

In quel Piacenza c’era anche un giovane Radja Nainggolan, anche lì è stato protagonista di qualche episodio particolare?

“Sì, lui era in Primavera ed era molto giovane. Era un po’ stravagante, è sempre stato così e credo che sia stata la sua forza. Si è sempre fatto scivolare tutto addosso, è una cosa ottima”

Raccontaci del passaggio alla Juventus.

“Alla Juventus ho fatto 1 anno dove ero circondato da tanti campioni. Anche lì giocai tantissimo e non mi sarei mai aspettato tutte quelle presenze, anche perché passai un’estate non facile. Dovevo andare a Firenze, poi la Juve mi richiamò e sono stato vicino anche al Napoli”

Beh, quindi avresti potuto indossare la maglia della tua città al suo ritorno in Serie A?

“Sì, io parlai anche con il presidente De Laurentiis e con il direttore generale Pierpaolo Marino. Non è stata un’estate facile, perché ti dico la verità che come sentii Napoli io volevo venire a tutti i costi. Non dimenticherò mai la telefonata con De Laurentiis mi disse ‘Ma tu verresti a Napoli?’ e io risposi subito ‘Presidente, è come dire a un figlio se vuole bene alla madre?’ (ride, ndr). Speravo e ho aspettato che le società si mettessero d’accordo, poi però purtroppo il mio sogno svanì perché i club non trovarono l’intesa. Passai quindi alla Juventus dove feci un anno formativo importante, perché da lì’ arrivò anche la chiamata in Nazionale. E’ stato un anno dove io ho imparato tantissimo”.

Ranieri ha puntato molto su di te, ti saresti mai aspettato il grande successo con il Leicester?

“Il mister è un grande organizzatore e un grande tattico, non mi aspettavo che vincesse la Premier ma basta guardare la sua carriera e parla da sola, dove è andato ha sempre fatto bene. A Parma poi erano con l’acqua alla gola e ha fatto un miracolo. Stiamo parlando di uno degli allenatori più competenti, ha meritato quel trofeo perché è una persona fantastica e sono stato davvero felice per lui”.

In quella Juve c’era anche il portoghese Jorge Andrade. Ai nostri microfoni affermò che con lei Criscito e Palladino si divertiva molto, eravate voi napoletani l’anima di quello spogliatoio?

“Sì (ride, ndr). Noi eravamo i giovani dello spogliatoio, quelli che come si dice a Napoli ‘Tenen’ a’ capa fresca’ (ride, ndr). Eravamo tutti agli inizi e avevamo una voglia incredibile di metterci in mostra e di far bene. Lì c’erano tanti campioni e come ti dicevo prima, gli uomini fanno la differenza. Nonostante fossero tutti grandi campioni avevano grande umiltà, io ho scoperto nella mia vita calcistica che uno più è grande e più è umile. Non mi meraviglio se uno è anche un grandissimo calciatore dopo che si è rivelato un grandissimo uomo”.

Del Piero non appoggia del tutto le parole di Gigi Buffon sull’arbitro post Real, tu che idea si è fatto?

“Io sono sempre del parere che tutti bisognano trovarsi nelle situazioni prima di poter giudicare. Gigi ha poi detto che avrebbe ripetuto quel concetto ma con termini diversi. Da fuori è troppo facile parlare e giudicare, ma uno si deve trovare nella situazione per poter capire. Gigi non si discute, oltre ad essere un grande portiere è un grande uomo, non ho mai visto una persona come lui. L’altra sera è stata la prima e unica volta dove ha un po’ sbroccato, tutte le persone sono umane e sbagliano, è sempre facile stare sul divano e giudicare”.

Credi che si ritirerà davvero a fine stagione?

“Egoisticamente ti dico e spero di no. Se uno sta bene fisicamente deve giocare, seguo l’esempio di Fedrer che dice che l’età è un numero e ha pienamente ragione, se tu stai bene devi giocare. Poi gli addii degli ultimi anni di figure come Totti, Kaka e Pirlo mi porta un po’ di tristezza, sono del calcio romantico. In questo momento non vedo una figura vera come questi simboli come lo stesso Del Piero, sono davvero pochi”.

In effetti siamo alla fine di un’era calcistica che per fortuna abbiamo vissuto…

“Certo, per fortuna. Anzi io sono proprio onorato di averci fatto parte”.

 Passi poi al Palermo dove diventi una bandiera…

“Lì sono maturato in tutti i sensi, mi sono spostato e ho avuto il mio primo figlio. Sono maturato e grazie all’allenatore ed un’ambiente straordinario abbiamo fatto sfracelli e cose incredibili”.

Per festeggiare Halloween portò nello spogliatoio un finto scheletro con i colori rosanero. Come la prese Zamparini?

 “Quello fu un gioco, portammo uno scheletro così per gioco. La forza di quella squadra era il gruppo, la maggior parte degli italiani erano in Nazionale, poi c’erano i giovani Pastore, Ilicic, Cavani, Hernandez che non avevano pressioni e poi sono diventati i grandi giocatori che sono oggi. Noi eravamo una base di italiani incredibile, noi ogni giovedì facevamo una sera tutti insieme. Avevamo un gruppo allucinante. Quando ero in scadenza non volevo andare via, volevo continuare a stare lì perché ero davvero legato tanto a tutto”.

Eri più triste di lasciare Palermo o felice di passare al Milan?

“Inizialmente ero molto più triste di lasciare Palermo perché sapevo cosa stavo lasciando, avevo tutto e quando poi devi spostarti non è facile. Lasciare l’amore della gente non è facile, sono stato apprezzato umanamente in una maniera incredibile. Al matrimonio mio c’erano tantissimi palermitani, la madrina di mia figlia è palermitana. Abbiamo lasciato il cuore lì, anche mia moglie ha pianto. Ero molto infastidito inizialmente di essere andato via, sono stato ferito anche dal fatto che tutti mi parlavano di rinnovo e poi il presidente ha detto che voleva vendermi. Purtroppo ci sono rimasto male, ma il calcio è anche questo”.

Al Milan poi uno dei suoi più grandi anni…

“All’inizio non pensavo nemmeno di giocare, ero arrivato lì’ per l’infortunio di Flamini e poi dopo giocai purtroppo per l’infortunio all’occhio di Rino (Gattuso, ndr). Io sfruttai però subito la mia occasione, ma giocare con quei campioni è molto più facile. Con Ibra c’era una grande intesa come con tutti gli altri. In tanti dicono che Ibra ha fatto tanti assist, ed è assolutamente vero, lui apriva un sacco di spazi. Io però giocavo anche con Robinho, Van Bommel ecc, a Ibra lo marcavano in tre, ma io sono stato sveglio a sfruttare  spazi e le mie occasioni, sono stato l’unico centrocampista a fare tutti quei gol con Ibra. Tutti dicono che Ibra mi ha fatto fare 11 gol, ma io non giocavo solo con lui e lui non giocava solo con me, credo che sono stato anche io furbo e bravo a sfruttare le mie qualità. Solo io e Fabregas a quei tempi da centrocampisti arrivammo in doppia cifra in Europa, lui però giocava anche trequartista al Barcellona”.

In quel Milan c’era anche Pato, è stato un talento perso per il calcio a causa dei suoi infortuni?

“Beh si, i suoi infortuni gli hanno condizionato la carriera. Lui però ha ancora 28 anni e può sfruttare momenti e situazioni, ha un grande talento. Ci sono sempre una serie di dinamiche che per un giocatore fanno la differenza”.

Passi poi al Torino, ma con Ventura qualcosa non ha funzionato, cosa di preciso?

“Tutto! Purtroppo tutto, quando parlai con lui il primo giorno di ritiro già volevo andare via. La chiacchierata iniziò male e finì con dei dubbi miei, un po’ per l’aspetto umano e un po’ per la sfortuna fisica non è stato un anno facile”.

Dopo Torino passi al Parma dove trovi tanto caos…

“Tutti dicono purtroppo ti sei trovato al Parma, ma per me non è stata così. Alla fine Parma è stata per me una cosa eccezionale, economicamente non avevamo lo stipendio e niente, ma quell’anno lì a dicembre avevo perso mio padre e avevo bisogno di qualcosa che mi facesse star bene umanamente. Io conoscevo giocatori, Donadoni e tante altre persone. Dopo un altro mese e mezzo venne a mancare anche mia madre e io volevo smettere, ma a Parma mi sono stati tutti vicino e mi hanno aiutato, è stata la mia fortuna Parma. E’ stata una delle situazioni più positive della mia carriera nonostante non avevo soldi, alla fine quando hai l’amore delle persone non conta più nient’altro”.

A Orlando in MLS sei stato bene?

“Ho fatto due anni molto positivi e belli, come vita è davvero tutto perfetto. Quando smetterò di giocare mi trasferirò qui a vivere, i miei figli stanno benissimo. Ho fatto questa scelta per i miei figli, per dargli un’apertura di mente aperta a 360°. Loro ora parlano inglese ed è motivo d’orgoglio per me”.

Andresti mai in Cina a giocare?

“Ti dico la verità, non saprei. Non è mai capitata l’opportunità e non saprei come reagirei, bisogna vedere prima di tutto la situazione familiare. Mia moglie e i miei figli avranno la prima parola, ora metto sempre avanti il NOI e non più l’IO”.

Il Genoa ti ha cercato a gennaio ma non si è concluso l’accordo, ti rivedremo a giugno in Serie A?

“Spero di sì, voglio tornare a giocare in Europa. Con l’Orlando non ho rinnovato, ho ancora il fuoco dentro, ho tanta passione e voglio fare bene”.

Con la Nazionale arrivi in finale all’Europeo 2012, è stata la più bella e allo stesso tempo la più brutta esperienza in maglia azzurra?

“Diciamo che è stata una bella esperienza per essere arrivati in finale con una squadra buona, anche lì il gruppo ha fatto la differenza. Forse potevamo gestire meglio le forze, arrivati all’ultima partita si erano stirati in 4-5, ma è stata una bella esperienza”.

E non vedere l’Italia al Mondiale cosa ti fa pensare?

“Un disastro!”

Ventura ha delle colpe? Soprattutto per aver lasciato fuori uno dei migliori talenti come Lorenzo Insigne…

“A parte quello, io non voglio giudicare le scelte. Ventura ha tanta esperienza in Serie A  ma non ha quella internazionale. La Nazionale non è un club, l’Italia non è una Nazionale qualunque, ci voleva un allenatore con personalità e con la giusta esperienza per affrontare determinate situazioni. Le colpe sono di tutti, poi però l’allenatore fa le scelte sul campo e se non vedi in campo Insigne che era uno degli italiani più in forma del campionato ti fai delle domande, ma in effetti solo loro possono sapere la verità”.

Domenica Juventus-Napoli…

 “Io la vado a vedere, domenica sarò allo Stadium. Ora torno in Italia a salutare tutta i familiari e poi andrò a vedere la partita”.

di Giuseppe Foria - @giuseppeforia11 

©RIPRODUZIONE RISERVATA, PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE

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